Codice della Crisi d’impresa, Strumenti ed Indicatori da monitorare per prevenire in tempo utile.

Cos’è il codice di crisi d’impresa?

Il Codice della crisi d’impresa è uno strumento che disciplina le procedure di allerta che le imprese devono attivare per la rilevazione tempestiva della crisi.

Sempre troppo spesso le imprese si trovano a gestire situazioni di allerta e di crisi con tempi e procedure poco tempestive ed efficaci dando a vita a situazioni incontrollabili e irrecuperabili. Per questo le società devono prevedere adeguati assetti organizzativi per rilevare in tempo utile lo stato di difficoltà e adottare misure idonee per la sua risoluzione.

Inoltre, i soggetti ai quali si applica la procedura di allerta devono tenere conto di appositi indicatori di crisi per misurare gli eventuali squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario.

Il nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019), con riferimento all’istituto dell’allerta, ha previsto l’entrata in vigore scaglionata nel tempo delle relative norme ivi contenute.
Il 16 marzo 2019, in particolare, sono entrate in vigore le norme relative all’adeguamento degli assetti organizzativi dell’impresa indispensabili per la rilevazione tempestiva della crisi aziendale nonché tutte quelle norme civilistiche attinenti.
Entro il 16 dicembre 2019, le aziende dovranno provvedere alle nomine relative agli organi di controllo, poiché la riforma ha previsto la modifica del terzo e quarto comma dell’art. 2477 c.c. con la previsione dell’obbligatorietà della nomina di tale organo in ipotesi diverse da quelle “tradizionali” (redazione del bilancio consolidato e società controllata soggetta all’obbligo di revisione legale dei conti).
Viene, infatti, abbassata la soglia dei limiti prima coincidenti con quelli previsti per la redazione del bilancio in forma abbreviata (art. 2435-bis c.c.) per cui la nomina dell’organo di controllo o del revisore diviene obbligatoria quando vengono superati per almeno due esercizi consecutivi come minimo uno dei limiti rappresentati da:
  • totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 2 milioni di euro;
  • ricavi delle vendite e delle prestazioni: 2 milioni di euro;
  • dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 10 unità.

Indicatori della crisi

I soggetti ai quali si applica la procedura di allerta devono tenere in considerazione appositi indicatori di crisi che vengono così definiti: “gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi.
A questi fini, sono indici significativi quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi”.
Si tratta di indicatori che vengono enucleati soltanto in via esemplificativa: viene rimesso ad un organo tecnicamente qualificato (il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili – CNDCEC) il compito di elaborare con cadenza almeno triennale quegli indici che “fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa”.
In proposito è da ritenere che nel decreto del MEF – documento nel quale troveranno sede gli indicatori elaborati dal CNDCEC – si osserverà una distinzione in base all’attività che l’impresa (anche in forma collettiva) svolge. Tanto è vero che, nell’ottica di costruire indici che si attagliano alle concrete realtà aziendali, il legislatore (art. 13, co. 2) impone al Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti di elaborare indici specifici con riguardo a:
  • start up innovative (di cui al D.L. n. 179/2012, conv. in l. n. 221/2012;
  • PMI innovative (di cui al D.L. n. 3/2015, conv. con mod. dalla l. n. 33/2015);
  • società in liquidazione;
  • imprese costituite da meno di due anni.
Il CNDCEC presenterà gli indici indicativi della crisi d’impresa al Ministero dell’Economia e finanze nei prossimi giorni.

Inidoneità degli indicatori di crisi

In ogni caso, allo scopo di tenere conto delle specificità delle singole imprese che potrebbero rendere “gli indici elaborati concretamente inidonei a evidenziare la possibile situazione di crisi” è ben possibile che l’ente (individuale o collettivo) se ne discosti ma in tale ipotesi dovrà:
  • specificare nella nota integrativa le ragioni di un siffatto scostamento;
  • indicare gli indici idonei “a far ragionevolmente presumere la sussistenza del suo stato di crisi” (art. 13, co. 3).
Sarà comunque necessario che un professionista indipendente attesti l’adeguatezza degli indici adottati rispetto alle specificità dell’impresa. In questo modo a partire dall’esercizio successivo gli indicatori della crisi saranno quelli di cui alla nota integrativa (con allegata attestazione).
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Massimo Gravaglia, viceministro dell’Economia, annuncia l’intenzione di eliminare l’obbligo dei revisori o del collegio sindacale nelle Srl di minori dimensioni.

Durante la conferenza stampa alla Camera sulla pace fiscale, Massimo Gravaglia ha espresso l’intenzione di del Governo di intervenire sull’obbligo di dotare di un collegio dei revisori le “aziende piccole piccole”

La scelta è ricaduta sul fatto di non incrementare il numero dei fallimento.

Perché è chiaro che tutte le volte che sindaco o revisore segnaleranno la presenza di un possibile stato di crisi le banche chiederebbero l’immediato rientro del fido mettendo le aziende in difficoltà ancora maggiori.

Il collegio sindacale infatti è reso obbligatorio in più di 175 mila piccole srl, con l’abbassamento delle soglie dimensionali al di sopra delle quali scatterebbe la nomina dell’organo di controllo, contenuta nel dlgs di riforma delle procedure concorsuali, si è già discusso nelle commissioni parlamentari, particolarmente dopo i rilievi del Consiglio di Stato

I nuovi organi di controllo dovrebbero entrare a regime nel 2020. Tuttavia ora dal ministero dell’Economia viene la possibilità di un ulteriore intervento del governo su Srl e cooperative proprio in materia di adeguamento dei propri statuti e per procedere alla nomina dell’organo di controllo e/o del revisore.

Organi di controllo Srl

Se tale vincolo, infatti, viene meno qualora i parametri economici (fatturato, attivo di bilancio, dipendenti) risultino inferiori alla soglia di legge per tre esercizi consecutivi, resta anche il fatto che è stato attribuito un ruolo attivo al conservatore del registro delle imprese.

Qualora, riscontrato il superamento delle soglie, l’assemblea non provveda a nominare entro 30 giorni dall’approvazione del bilancio l’organo di controllo o il revisore, il conservatore deve segnalare tale circostanza al tribunale (oltre alla possibilità per qualunque altro soggetto interessato di richiedere al magistrato la nomina d’ufficio).

Con questa iniziativa il Governo intende quindi semplificare i nuovi obblighi per le Srl preveista dal Codice della Crisi d’Impresa.

In base all’attuale formulazione della norma (in vigore a regime da agosto 2020), l’obbligo scatta quando per due anni consecutivi viene superato almeno uno dei seguenti limiti:

  • 2 milioni di euro di attivo stato patrimoniale (dai precedenti 8,8 milioni);
  • 2 milioni di euro di ricavi (dai precedenti 4,4 milioni);
  • 10 dipendenti occupati in media durante l’esercizio (dai precedenti 50).

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Come indicato dalla Borsa Italiana gli NPL (Non-Performing Loans) “sono attività che non riescono più a ripagare il capitale e gli interessi dovuti ai creditori. Si tratta in pratica di crediti per i quali la riscossione è incerta sia in termini di rispetto della scadenza che per ammontare dell’esposizione”.

Gli NPL sono generalmente noti come crediti deteriorati e, nell’ultimo decennio, il loro peso ha avuto un aumento e di conseguenza un’incidenza sempre più importante per gli enti creditizi.

I crediti deteriorati sono di differenti tipi: le sofferenze, gli incagli e le esposizioni.

Sofferenze

Sono quei crediti la cui riscossione non è certa da parte degli intermediari che hanno erogato i finanziamenti perché i soggetti debitori risultano in stato di insolvenza (anche non conclamata) o in situazioni equiparabili. Gli enti creditori, per evitare questa situazione e i rischi che ne conseguono, sono tenuti ad accantonare riserve proporzionate al credito e al suo rischio.

Incagli

A differenza delle sofferenze, gli incagli rappresentano un rischio minore poiché si presuppone che il titolare del debito sia impossibilitato solo momentaneamente a onorare il proprio debito nei confronti dell’ente creditore. Questi NPL richiedono, quindi, un accantonamento di minor entità rispetto alle sofferenze.

Esposizioni

Oltre alle sofferenze e agli incagli il mondo dei crediti deteriorati conta le esposizioni ristrutturate e le esposizioni scadute o sconfinanti. Se le esposizioni ristrutturate sono esposizioni che una banca accumula a seguito di modifiche dei termini contrattali causate dal peggioramento della situazione finanziaria debitoria, le esposizioni scadute o sconfinanti sono tutte quelle non possono essere inserite nelle sofferenze, negli incagli o nelle esposizioni ristrutturate e risultano non onorate, a seconda dei casi, da oltre 90 o 180 giorni.

Centrale rischi

Per monitorare la situazione di tutti i debitori la Banca d’Italia ha creato la Centrale dei rischi, dove confluiscono tutti i dati relativi alle posizioni debitorie di ogni soggetto, permettendo agli enti creditizi di valutare il rischio globale e la solvibilità di ciascun cliente.

Le disposizioni della BCE

A livello europeo il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale Europea stanno portando avanti una politica che mira a ridurre drasticamente la presenza degli NPL nei bilanci delle banche europee al fine di non vanificare gli sforzi compiuti, in questi anni, dagli stati membri e dalla BCE.

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Un 2017 amaro

Dopo l’attivismo che aveva caratterizzato il mercato globale delle fusioni e acquisizioni del 2016 e che aveva lasciato ben sperare gli analisti di settore, il mercato italiano dell’M&A chiude il 2017 con una flessione che lascia l’amaro in bocca.

Tuttavia, i rallentamenti pare che siano riconducibili alla mancata conclusione di operazioni annunciate nel 2017 che, se dovessero concretizzarsi nel 2018, riporterebbero i valori ben al di sopra della media auspicata.

Parliamo, per esempio, di operazioni che necessitano l’approvazione dell’Antitrust UE: Luxottica-Essilor; Ilva-Am Investco (braccio operativo di ArcelorMittal e Marcegaglia)
 di quelle operazioni che sono al vaglio, da diverso tempo, di commissari – ad acta-: si veda per esempio il caso Alitalia.

In termini di valore Kpmg, nel suo rapporto 2017 “Mergers & Acquisitions”, fa riferimento al mercato italiano con 733 operazioni concluse per circa 41 miliardi di euro spesi (l’1% in meno rispetto a quelle registrate nel 2016 con un differenziale di 15 miliardi di euro).

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Il grido di allarme arriva da molte PMI italiane ormai a corto di liquidità e in continua lotta con banche e le altre aziende che non pagano.

Se da un lato il Governo ha cercato di tamponare al problema istituendo il “Fondo Serenella”, un finanziamento a tassi agevolati in favore delle PMI in crisi, dall’altro non va sicuramente meglio con l’Accesso al Credito, in quanto ormai le banche hanno ridotto ogni aiuto e finanziano sempre meno i progetti delle aziende (in media un’impresa su tre).

Per cercare quindi di trovare altre fonti di finanziamento, le aziende stanno iniziando a sperimentare nuovi strumenti e hanno trovato un feedback positivo ed importante nella finanza alternativa.

Tra questi l’invoice tradingl’equity crowdfunding e il social lending: strumenti che permettono di ricevere immediatamente liquidità in cambio di fatture o di tassi di interessi abbastanza contenuti.

In particolare il social lending è uno strumento in netta crescita e si tratta di piattaforme dove le piccole e medie imprese possono presentare i propri progetti e chiedere finanziamenti direttamente ai privati. Altrettanto in crescita il factoring, ovvero la vendita di crediti deteriorati ad aziende specializzate nel recupero; così facendo le aziende ottengono liquidità nel breve anche con la possibilità di perdere qualcosa rispetto al totale del debito.

Ed è proprio in questa che viene definita finanza alternativa che molte PMI stanno puntando le ultime speranze.

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